IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel processo penale a carico di Demaku Fatmir, nato il 21 gennaio
1979 a Serbia (Serbia-Montenegro) elettivamente domiciliato presso il
difensore d'Ufficio  Avv.  Daniela  D'Emilio,  con  studio  in  Busto
Arsizio, Via Gavinana n. 17,  imputato  del  reato  di  cui  all'art.
10-bis d.lgs. n. 286/98 poiche' essendo cittadino straniero di  paese
non appartenente all'U.E., faceva ingresso ovvero si  tratteneva  sul
territorio dello stato senza essere munito del  prescritto  visto  di
ingresso e/o permesso di soggiorno in violazione  delle  disposizioni
del d.lgs. 286/1998 e succ. modifiche. 
    Accertato in Albizzate (Varese) il 5 gennaio 2010. 
    Premesso che: 
        in data 5 gennaio 2010 durante un  controllo  effettuato  nel
Comune di Jerago  con  Orago,  la  pattuglia  dei  Carabinieri  della
Stazione di Albizzate fermava Demaku Fatmir che  mostrava  passaporto
ordinario rilasciato dalla  Repubblica  Serbia  il  6  febbraio  2006
valido fino al 6 febbraio 2016, riferiva di essere privo del permesso
di soggiorno. Lo straniero veniva sottoposto a fotosegnalamento  e  a
comparazione fotodattiloscopica. 
    Demaku Fatmir non risultava titolare di permesso di soggiorno  ne
di averne fatto richiesta. 
    All'udienza  del  23  febbraio  2010,  dichiarata  la  contumacia
dell'imputato  non   comparso,   sull'eccezione   di   illegittimita'
costituzionale dell'art.10-bis,  d.lgs.  n.  286/98  come  introdotto
dall'art. 1, comma 16, legge 15 luglio 2009, n. 94 formulata dal  suo
difensore che si riservava  di  produrre  memoria,  la  causa  veniva
rinviata all'udienza dell'11 maggio  2010,  nella  quale  il  giudice
preso atto  della  questione  di  illegittimita'  costituzionale  ivi
sollevata, tenuto conto della varie ordinanze gia'  emesse  da  altri
giudici   sul   medesimo   tema,   aderendo   in   particolare   alle
argomentazioni dedotte dalla Procura della Repubblica  del  Tribunale
di Torino che fa proprie, osserva e ribadisce che: 
        l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/98  introdotto  dall'art.  1,
comma 16  della  legge  15  luglio  2009,  n.  94  prevede  la  nuova
fattispecie  criminosa  dell'«ingresso  e  soggiorno   illegale   nel
territorio dello Stato» sanzionando con l'ammenda da 5.000  a  10.000
euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico
nonche' di quelle dell'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68»; 
        tale norma appare in contrasto  con  l'art.  3  della  Cost.,
sotto il profilo dell'irragionevolezza della  scelta  legislativa  di
criminalizzare l'ingresso e la permanenza dei clandestini nello Stato
italiano; 
        pur riconoscendo  che  compete  al  legislatore  un  generale
potere «di regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione  ai
molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi  problemi
connessi  ai  flussi  migratori  incontrollati»  (Corte  cost.  sent.
5/2004) facendo buon uso della sfera di discrezionalita' sua propria,
l'azione di tale  organo  costituzionale  trova  limiti  insuperabili
nell'osservanza  dei  principi  fondamentali   del   sistema   penale
stabiliti dalla Costituzione e nell'adozione di soluzioni orientate a
canoni di ragionevolezza e di razionalita' finalistica; 
        la irragionevolezza  della  nuova  fattispecie  criminosa  e'
chiaramente evidenziata dalla carenza di  un  pur  minimo  fondamento
giustificativo:  la   penalizzazione   di   una   condotta   dovrebbe
intervenire come estrema ratio, in  tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo. L'obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie  incriminatrice
e' costituito  dall'allontanamento  dello  straniero  irregolare  dal
territorio  dello  Stato:  tale  misura  e'  prevista  come  sanzione
sostitutiva irrogabile dal giudice di  pace  ai  sensi  dell'art.  16
d.lgs. n.  286/98  appositamente  modificato  per  comprendervi  trai
presupposti la sentenza di condanna per  il  reato  di  cui  all'art.
10-bis (cosi' alterando anche con l'espressa  introduzione  dell'art.
62-bis il sistema sanzionatorio designato dal d.lgs. n. 274/2000  che
prescriveva all'art. 62  l'espresso  divieto  di  applicazione  delle
altre  misure  sostitutive  di  pene  detentive  brevi);  inoltre  la
effettiva  espulsione   dello   straniero   in   via   amministrativa
costituisce causa di non procedibilita' dell'azione  penale,  il  che
rende  evidente  quale  sia  l'interesse  primario   perseguito   dal
legislatore; infine non e' richiesto alcun nulla osta  dell'Autorita'
giudiziaria per l'esecuzione dell'espulsione, al chiaro scopo di  non
creare intralci alla predetta operazione. L'evidente finalita'  della
nuova  fattispecie  incriminatrice,  strumentale   all'allontanamento
dello straniero irregolare dal territorio dello Stato  ne  sottolinea
la  mancanza  di  una  ratio  giustificatrice,  perche'   lo   stesso
obbiettivo era perfettamente raggiungibile prima  della  introduzione
della nuova figura  di  reato,  mediante  l'adozione  dell'espulsione
coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 4  d.lgs.
n. 286/98. 
    L'ambito  di  applicazione  della  nuova   fattispecie   coincide
perfettamente con quella  della  preesistente  misura  amministrativa
della espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari,  sia
sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa  che  c'era
gia' nell'ordinamento  italiano  uno  strumento  ritenuto  idoneo  al
raggiungimento dello scopo  (che  non  e'  stato  oggetto  di  alcuna
modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale  resta  privo
di ogni giustificazione. 
    L'irragionevolezza della nuova fattispecie  penale  emerge  anche
sotto il profilo  sanzionatorio;  che  comprende  non  solo  la  pena
dell'ammenda  da  5.000  a  10.000  curo,  ma  anche  il  divieto  di
applicazione del beneficio della sospensione condizionale della  pena
e della facolta' concessa al giudice di pace di  sostituire  la  pena
pecuniaria con una sanzione piu' grave, quale quella  dell'espulsione
dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di
misura sostitutiva piu' grave della sanzione principale sostituita). 
    L'art. 3 Cost. appare violato sotto un altro  profilo  specifico,
concernente la irragionevole disparita' di trattamento tra  la  nuova
fattispecie e quella dell'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/98  che
prevede la punibilita' dello straniero inottemperante  all'ordine  di
allontanamento del Questore solo quando lo stesso  si  trattenga  nel
territorio  dello  Stato  oltre  il  termine   stabilito   e   «senza
giustificato motivo». Due condizioni che non si trovano  nella  nuova
figura criminosa, cosicche' e' sufficiente il venir meno per  qualche
motivo del  permesso  di  soggiorno  perche'  sia  immediatamente  ed
automaticamente integrata  una  ipotesi  di  trattenimento  illecito,
senza alcuna possibilita' per l'interessato, di addurre  una  qualche
giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare. 
    Va richiamata al riguardo la sentenza della C.  cost.  n.  5/2004
che ha salvato la costituzionalita' dell'art. 14, comma 5, d.lgs.  n.
286/98 proprio grazie  all'interpretazione  costituzionale  orientata
della clausola «senza giustificato motivo»  considerata  al  pari  di
altre simili rinvenibile nell'ordinamento, una «valvola di sicurezza»
del meccanismo repressivo atta ad evitare  «che  la  sanzione  penale
scatti allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie
cause  di  giustificazione  -  l'osservanza   del   precetto   appaia
concretamente inesigibile» per i piu' svariati motivi riconducibili a
situazioni ostative  di  particolare  pregnanza  che  incidano  sulla
stessa   possibilita'   soggettiva   od   oggettiva,   di   adempiere
all'intimazione,  escludendola  ovvero  rendendola   difficoltosa   o
pericolosa». Il nuovo reato di immigrazione  clandestina  non  appare
conforme alla Costituzione perche' punisce indiscriminatamente  tutti
i soggetti irregolarmente presenti nel territorio dello stato,  senza
tenere conto della eventuale  esistenza  di  situazioni  legittimanti
tale presenza. 
    Il nuovo art. 10-bis d.lgs. n. 286/98  appare  in  contrasto  con
l'art. 3 Cost. nonche' con l'art.  25,  secondo  comma  Cost.,  avuto
riguardo   alla   configurazione   di    una    fattispecie    penale
discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni  personali
e sociali, anziche'  su  fatti  e  comportamenti  riconducibili  alla
volonta' del soggetto attivo; 
    Infatti  la  nuova  fattispecie  incriminatrice   sanziona   solo
apparentemente una condotta (l'azione dell'ingresso e l'omissione del
mancato allontanamento) in realta' in se' e per se' del tutto  neutra
agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto  dell'incriminazione
e' la mera  condizione  personale  dello  straniero,  costituita  dal
mancato possesso un titolo abilitativo all'ingresso e alla successiva
permanenza nel territorio dello  Stato,  che  e'  poi  la  condizione
tipica del migrante economico e dunque anche una condizione  sociale,
cioe' propria di una categoria di persone; una  situazione  priva  di
una qualche significativita' sotto  il  profilo  della  pericolosita'
sociale, difficilmente riconducibile ad  una  condotta  volontaria  e
consapevole  dello  straniero  migrante  essendo  costui  di   regola
costretto a fuggire dal proprio stato di appartenenza per ragioni  di
sopravvivenza e a subire la sottrazione dei documenti (ove esistenti)
da parte delle compagini criminali che  organizzano  i  viaggi  della
speranza. La  criminalizzazione  del  migrante  economico  appare  in
contrasto sia con il principio di  uguaglianza  sancito  dall'art.  3
Cost.  che  vieta  ogni  discriminazione  fondata,  tra  l'altro   su
condizioni personali e sociali,  sia  con  la  fondamentale  garanzia
costituzionale secondo cui si  puo'  essere  puniti  solo  per  fatti
materiali (art. 25 secondo comma Cost.). 
    La Corte costituzionale si e' gia' espressa  in  modo  inequivoco
sul punto stabilendo nella sentenza  n.  78  del  2007,  in  tema  di
applicabilita'  delle  misure  alternative   alla   detenzione   agli
stranieri  clandestini,  che  «il  mancato  possesso  di  un   titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato»  costituisce
«una condizione soggettiva» «che  di  per  se'  non  e'  univocamente
sintomatica ... di una particolare pericolosita'  sociale»;  dal  che
consegue «l'impossibilita' di individuare nella esigenza di  rispetto
delle regole in materia di ingresso e soggiorno in  detto  territorio
una  ragione  giustificativa  della  radicale  discriminazione  dello
straniero sul piano dell'accesso  al  percorso  rieducativo,  cui  la
concessione  delle  misure  alternative  e'  funzionale».  La   nuova
fattispecie renderebbe inapplicabile  la  citata  sentenza  della  C.
cost.  e  inaccessibili  le  misure  alternative  alla  detenzione  a
stranieri  clandestini   condannati   a   pene   detentive   perche',
sanzionando  penalmente  la  clandestinita'  dello  straniero,   essa
collega a tale  condizione  un  implicito,  quanto  ingiustificato  e
irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale, che  di  per  se'  e'
incompatibile - come ammesso dalla  stessa  Corte  cost.  -  «con  il
perseguimento  di  un  percorso  riabilitativo  attraverso  qualsiasi
misura alternativa». 
    La nuova fattispecie appare infine  in  contrasto  con  l'art.  2
Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili  dell'uomo  e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale. Con parole lungimiranti  perfettamente
applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la
Corte costituzionale, con la sentenza  n.  519  del  1995,  dichiaro'
l'illegittimita'  costituzionale  del  reato  di  mendicita'  di  cui
all'art. 670 c.p. non potendosi ritenere necessitato il ricorso  alla
regola penale per sanzionare la mera  mendicita'  non  invasiva  che,
risolvendosi in una semplice richiesta di  aiuto,  non  poteva  dirsi
porre seriamente in pericolo i  beni  giuridici  della  tranquillita'
pubblica  e  dell'ordine  pubblico.  Allo  stesso  modo  lo   spirito
solidaristico di cui e' impregnata la Carta  costituzionale  dovrebbe
impedire l'adozione di misure puramente repressive per  risolvere  il
problema dell'immigrazione; lo straniero  migrante  non  puo'  essere
considerato pericoloso per l'ordine e  la  tranquillita'  pubblica  e
colpevole per il solo fatto di esistere. 
    Le questioni di  costituzionalita'  sopra  enunciate  appaiono  a
questo giudice serie e comunque non  manifestamente  infondate:  esse
sono inoltre rilevanti  nel  processo  poiche'  se  accolte,  con  la
conseguente declaratoria di  illegittimita'  delle  norme  denunciate
comporterebbero  l'assoluzione  dell'imputata   essendo   lo   stessa
chiamata a rispondere del reato di ingresso e soggiorno illegale  nel
territorio dello Stato ai sensi dell'art. l0-bis,  d.lgs.  n.  286/98
come introdotto dalla legge citata.